Tramedipensieri

Lo scritto non arrossisce.

Tag: Orgosolo

Pratobello

Nella zona dei pascoli di Pratobello, tra Fonni e Orgosolo, lo Stato Italiano, costruì un piccolo borgo: chiesa, scuola e abitazioni, per ospitare le famiglie dei militari che lavoravano nel poligono temporaneo di tiro.

La protesta silenziosa

 

Il 27 maggio del 1969 sui muri del paese, dalle autorità, fu affisso un avviso in cui si invitavano i pastori, che operavano nella zona di Pratobello, a trasferire il bestiame altrove perché, per due mesi, quell’area sarebbe stata adibita a poligono di tiro e di addestramento dell’Esercito Italiano.

Il 9 giugno 3.500 cittadini di Orgosolo iniziarono la mobilitazione; si riunirono in piazza Patteri: dall’assemblea scaturì la decisione di attuare una forma di protesta nonviolenta e quindi di occupare pacificamente la località di Pratobello.

Iniziò l’occupazione e dopo alcuni giorni, durante i quali non si verificò alcun episodio di violenza, – un’occupazione pacifica che durò una settimana – l’esercito si ritirò e dopo soltanto pochi giorni l’area fu restituita ai suoi pastori.

L'occupazione dei campi

 

La rivolta di Pratobello è considerata l’inizio della lotta antimilitarista sarda, e segnò anche la prima vittoria in tal senso.

Nel contesto della rivolta nacque il fenomeno del muralismo di Orgosolo, ancora oggi elemento caratteristico del paese.

 

Murales - Orgosolo

Durante la rivolta Emilio Lussu, con una lettera agli orgolesi, aveva dichiarato la sua solidarietà all’iniziativa ed informava che non aveva potuto partecipare di persona agli eventi solo per le sue cattive condizioni di salute.

Qui le immagini del borgo abbandonato di Pratobello dal sito Sardegna Abbandonata

Qui un articolo di approfondimento ed una poesia in sardo con traduzione

 

 

Maria Corda: i fili, la trama, la storia.

“Maria Giovanna Corda ha cinquantacinque anni e tre figli.
Per vivere fa le pulizie in casa di due compaesane. Lo dice con l’orgoglio di chi non ha paura di rimboccarsi le maniche per vivere, ma anche con l’amarezza di chi ha tra le mani un sapere che ha difficoltà a essere riconosciuto.”

 

Nel piccolo laboratorio-museo di Maria Corda, ancora oggi dopo 2oo anni di storia… si alleva il Baco da seta di razza ”Orgosolo”, da cui si ottiene la seta per confezionare poi a telaio
su lionzu, copricapo del costume tradizionale femminile di Orgosolo.

Su “lionzu”è l’unico capo di un costume tradizionale sardo prodotto interamente in loco, infatti nel laboratorio di Maria Corda si parte dall’allevamento del baco fino alla tessitura del capo.

Maria Giovanna Corda in una foto di A. Farris dal blog La Donna Sarda

Maria Giovanna Corda in una foto di A. Farris dal blog La Donna Sarda

***

“Sino agli anni Sessanta/Settanta questo procedimento era noto a tutte le orgosolesi. Ognuna aveva in giardino un albero di gelso e sapeva come produrre la seta. Non era necessario essere una bachicultrice “di professione”. Nel momento della necessità – quando una donna aveva bisogno di un nuovo fazzoletto per coprirsi il capo – poteva rivolgersi a chi allevava i bachi ogni anno e avere i semi necessari.
A giugno, infatti, ad alcuni bozzoli era permesso “sfarfallare”: le farfalle nascevano, si accoppiavano e davano vita ai nuovi semi che andavano in letargo dalla fine di giugno sino, appunto, ai primi giorni di maggio.”

L’articolo completo sul blog

La donna sarda

 

Stefania Indossa "Su Lionzu"

Stefania Indossa “Su Lionzu” – Fazzoletto del costume di Orgosolo

***

“Se Chiara Vigo tesse la seta del mare, Maria Corda quella di montagna.
Nel suo laboratorio-museo-negozio di Orgosolo – il paese dipinto dai murales al centro dell’isola – nel forziere di ‘’Su Lionzu’’, il copricapo tradizionale che rende unico e originale il costume femminile del paese barbaricino.

Come Chiara anche Maria trae un’utilità economica quasi insignificante dalla vendita del prodotto, ma dona alla comunità un fondamentale contributo alla tutela della biodiversità locale. La tessitrice, infatti,  non si occupa solo di confezionare il velo ma di tutta la filiera, ad iniziare dall’allevamento dei bachi.

Una tradizione importata ad Orgosolo nel 1600 grazie ai gesuiti ma con l’invasione dei prodotti industriali ormai quasi abbondata.
Maria resiste, anche se negli ultimi due anni di copricapo “non ne ha venduto uno”.

Potete trovare l’articolo completo qui: Greenews.info

6112353138_4ed8c93fe3

foto di Antonio Baldinu su Flickr

 

In questo video\documentario si racconta il ciclo della produzione della seta e la sua tessitura, utilizzata per la confezione de “su lionzu” (benda-copricapo femminile), l’elemento dell’abbigliamento tradizionale del paese di Orgosolo.

*

Qui un interessante iniziativa del circolo “Montanaru” di Udine” a cura delle donne sarde emigrate:

 

“Il prof. Scialino, sebbene esperto di letteratura friulana, non ha fatto mancare i riferimenti all’allevamento dei bachi da seta nella letteratura sarda: ha citato la storia e l’esperienza dell’imprenditrice settecentesca di Muravera Francesca Sanna Sulis ed ha declamato in sardo anche il poema sulla seta scritto dall’abate Antonio Porqueddu alla fine del Settecento. Nei suoi versi l’abate sottolinea il ruolo delle donne nella cura del baco, che deve essere allevato in seno affinché sia mantenuto alla giusta temperatura, e che deve essere mantenuto pulito più degli specchi perché apporta benessere alla casa e alla famiglia. “