“Il sesso non prospera nella monotonia. Senza sentimento, invenzioni, stati d’animo non ci sono sorprese a letto. Il sesso deve essere innaffiato di lacrime, di risate, di parole, di promesse, di scenate, di gelosia, di tutte le spezie della paura, di viaggi all’estero, di facce nuove, di romanzi, di racconti, di sogni, di fantasia, di musica, di danza, di oppio, di vino.”
Adesso che non so più niente
che il vuoto è bella dimora
che ho passi senza arsura
che siedo e imparo
a esitare, adesso
che non sei più al centro
e quello che conta non è più
al centro
ma spostato
tra le mani
dove le dita si disarmano
e fanno un gesto limato,
adesso questa categorica bellezza
di rami e cieli
pugnala solo
perché entri luce.
Abbiamo disimparato a soffrire. […] Io sento che il pensiero tragico è fortemente ottimista. Essere veramente in contatto con il fatto che nella vita il male c’è, e che va accolto e combattuto. Mentre c’è un ottimismo cieco che è quello di non sapere le durezze del male, che fa sì poi di sentirsi sempre inadeguati o di sentire che possa esistere la possibilità di un’epoca dorata ma non ci sono epoche in cui non c’è stato il male. Nello stesso tempo io sento che abbiamo gli strumenti in ogni epoca per combatterlo, per elaborarlo, per contrastarlo, per far rispettare i nostri diritti, la nostra dignità, e anche mi piace citare un filosofo che si chiama Whitehead che ha detto che “la pace non è anestesia ma è l’intelligenza della tragedia.” È questo proprio sentire che la sofferenza c’è, non può non esserci, e che ne vogliamo fare? Sedersi, e ragionarci con la sofferenza, e comprendere che solo da un’accoglienza della sofferenza può nascere poi una risposta giusta, un’azione giusta.
“Il sesso non prospera nella monotonia. Senza sentimento, invenzioni, stati d’animo non ci sono sorprese a letto. Il sesso deve essere innaffiato di lacrime, di risate, di parole, di promesse, di scenate, di gelosia, di tutte le spezie della paura, di viaggi all’estero, di facce nuove, di romanzi, di racconti, di sogni, di fantasia, di musica, di danza, di oppio, di vino.”
Prefazione de “Il delta di Venere” – Anais Nin
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Adesso che non so più niente
che il vuoto è bella dimora
che ho passi senza arsura
che siedo e imparo
a esitare, adesso
che non sei più al centro
e quello che conta non è più
al centro
ma spostato
tra le mani
dove le dita si disarmano
e fanno un gesto limato,
adesso questa categorica bellezza
di rami e cieli
pugnala solo
perché entri luce.
C. L. Candiani
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Le poesie sono altresì dei doni – doni per chi sta all’erta. Doni che implicano un destino
C. L. Candiani
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Abbiamo disimparato a soffrire. […] Io sento che il pensiero tragico è fortemente ottimista. Essere veramente in contatto con il fatto che nella vita il male c’è, e che va accolto e combattuto. Mentre c’è un ottimismo cieco che è quello di non sapere le durezze del male, che fa sì poi di sentirsi sempre inadeguati o di sentire che possa esistere la possibilità di un’epoca dorata ma non ci sono epoche in cui non c’è stato il male. Nello stesso tempo io sento che abbiamo gli strumenti in ogni epoca per combatterlo, per elaborarlo, per contrastarlo, per far rispettare i nostri diritti, la nostra dignità, e anche mi piace citare un filosofo che si chiama Whitehead che ha detto che “la pace non è anestesia ma è l’intelligenza della tragedia.” È questo proprio sentire che la sofferenza c’è, non può non esserci, e che ne vogliamo fare? Sedersi, e ragionarci con la sofferenza, e comprendere che solo da un’accoglienza della sofferenza può nascere poi una risposta giusta, un’azione giusta.
C. L. Candiani
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