Vai a Mantova e non ti chiedi a chi sia dedicata la bellissima piazza Sordello?
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Sordello da Goito
Poeta e trovatore italiano 1200/1269
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Maestro della Manta
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Non può essere alcun uomo
davvero saggio se, pur contro voglia,
non governa il suo talento
col proprio senno, che dal danno lo preserva.
Chi vuole ben vincere il nemico
deve vincere prima se stesso,
cioè il suo cuore, perché più mortale nemico
non ha l’uomo, né più malvagio,
del proprio cuore, quando gli volge il morso
verso il male e dal bene lo distoglie.
Né mai il cuore sarà vinto
se dal senno non muove la virtù;
e la virtù non uscirà vincitrice del senno
senza un perfetto valore,
quando il cuore è spinto a mal fare
e ha impreso a commetterlo.
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La meno conosciuta fra le opere di Sordello è il poemetto che va sotto il titolo di Ensenhamens d’onor, concepito in forma di programma di vita e di moralità che il poeta viene esponendo in una sequenza di 1327 versi a monito dei lettori e anche di se stesso, sebbene non esiti a dichiararsi impari agli ideali che professa.
Un piccolo paguro zampetta sulla sabbia,
Incurante della perfezione sgrana la battigia.
Avanza con metodica fermezza, fingendo quel coraggio
Che appartiene solo a chi indossa un’armatura.
Vile crostaceo, nulla gli importa se non della sua casa
Che – da piccolo egoista – riempie per intero.
Nessuna solitudine, nessuna nostalgia
Neppure un desiderio trova spazio in quel corno vagante.
Un’onda lo accarezza, e lui, indifferente, si lascia trasportare
Dondolando rannicchiato come un bimbo nella culla
Poi si riprende e piano piano ritorna a zampettare
Nulla ha da perdere, se non la vita
Aggrappata a una conchiglia incustodita
Regalata dal mare.
il cielo sereno è come volato via
al posto suo montagne di panna
che muove riflessi: ci rivediamo
perciò ogni volta diversi. differenti
ma sempre se stessi negli incidenti.
e anche un forse viene in soccorso.
Sbriciolo pochi ricordi tra le dita,
passeri e colombi si gettano voraci:
mangiare non è condividere.
Resta l’essenza, il rosso nastro,
sottile di ciò che non è,
non bisogna dolersi, è la vita,
quella che fa capire che avanti e oltre
son differenti percorsi,
righe di luce e di tenebra,
divenute diffrazioni per palpitare la retina,
di fantasie e realtà.
Piano emergono indizi,
un puzzle si compone in una traccia,
dove scorre la luce.
I ricordi sono merce scomoda,
da maneggiare con l’accuratezza delle rose,
profumo, gambo, colore, smorzando le spine,
e dovrei dire che quel pulviscolo
che ora m’attornia,
è quel ch’è rimasto.
Mi rinasce in petto adesso una voglia
di ritrovata somiglianza
un guardare al cammino sgombro
una chiara indicazione nella mappa
del mio progetto
ridisegnamo anche qualche sogno, allora
perfettamente leggibile
perfettamente mio.
A guardare in su
a guardare questa incorporea magnificenza
non mi chiede nessuno del silenzio
nessuno mi intervista
per sapere
il perché di tanto amore.
d’altra parte a chi interessa
questa mia passione
per l’assenza?
Vedo campi di papaveri stupendi.
I’ li adoro e respiro malinconico,
Soffocato dal rosso, tra vilipendi,
E velli di afrore amazzonico…
L’uniforme sulla pelle, che trascendi
Le bretelle su i calzoni: ferro acetonico,
Che poi, su un banchetto, poi vendi,
Odiandola d’un odio bianco catatonico.
Tanti papaveri, tanti morti,
Sui campi; ché vorrei equipararli,
Esser morto crivellato in roccaforti.
E vorrei i nemici al muro, giustiziarli,
Ridendo feroce, de le loro malesorti.
E le lor bare: polverizzate dai tarli.
*
noi leggiavamo un giorno per diletto
e ci siamo fatti a brandelli
a singhiozzi
diviso i cuori
in strati precari
mi prese del costui piacer sì forte
niente quinto canto
cinquanta righe
per slacciarci tutti i nodi
ma un solo punto fu quel che ci vinse
Nel luogo che si stende dove il tempo
simula confusioni
porto di me discorsi
che ti terrei se tu fossi avvertita
del viaggio delle voci
ma l’astensione genera ricordi
simili a fluttuazioni
che non sempre la vita sa vedere
tanto che ci si chiede se davvero
noi ci siamo incontrati
o non siamo la parte di una storia
che abbiamo raccontato
quando le stelle dormono e la notte
mi sveglia di continuo.
*
il sonno ci conduce sul confine
quasi una morte in prova
_ poi si torna_
ma quando resteremo addormentati
in un mattino che non ci vedrà
che non vedremo
avremo perso il giorno
e non sapremo della nostra assenza
_né che non si ritorna_
Vi faccio ritorno spesso
forse ogni notte.
In sogno, pietre e luci sono velate d’antico
d’eterno.
Nel mio essere d’ora
v’incontro presente e passato
indifferentemente.
E mi ritrovo sospeso
fra cielo e terra
e enormi distese d’acqua.
Al risveglio, so di essere stato ancora là
dove, infinitamente giovane
e già vecchio
assaporai la crudeltà di quel mio tempo.
Quindici rughe, un giorno
ho contato alla sua faccia.
E gli ho telefonato per dirgli ch’ero amico,
all’ora che si mettono a tavola, ma è uguale
i figli mai sapranno come ci intendevamo.
Un giorno gli offrirò il mio Cordiale,
io non bevo.
Gli occuperò le mani scaldandole col fiato.
quando qualcuno ci lascia
le senti
sprofondate nell’anfora del corpo
le parole sono un mare di liquidi
freddate dalla fine
sottili si dissipano
forse svaporano
al culmine del transito
una transumanza invisibile
si muove nel ritmo della polvere attraversa la luce e
grazia o fortuna ripongono in terra
gli spazi di silenzi altissimi
Il paradosso più grande nella vita di uno scrittore è quello della ricerca spasmodica di una strana forma di solitudine, una solitudine che ti aiuta a guardare al miracolo della poesia come ad un rapporto, ad una relazione amorosa: qualcuno ti chiama da una finestra dirimpettaia e tu devi rispondere, non puoi ignorare la voce di quella misteriosa presenza.
Atelier de Aristide Maillol. Marly-le-Roi 1936 por Brassaï
*
tutte le sere
ti aspetto
mangiando pistacchi,
bevendo birra ghiacciata
penso agli amici
partiti
al mio viaggio
guardo le stelle lontane
e tu sei vicino?
sei nel mio cuore?
“Ansia” da Oltremare
*
Generato dal tempo
attraverso
la mancanza
E’ tuo il verso
ch’io domando
al cielo stellato
Il verso
che compie
il vivere
La luce
che riflette
il bene amato
E’ tuo
il mare
in tempesta
Tutto tuo
compreso l’universo
appena nato.
*”Genitivo Diacronico” da*
*
Si può morire in un giorno dell’anno
senza lasciare niente a nessuno.
Un testamento olografo giace
nel trumò di ciliegio
gracida la radio
nello stagno del tinello.
Tre quarti di crostata di prugne
mezza bordolese di vin santo.
L’ombrello e la pianta alogena,
due camicie di flanella.
Una tela verdognola
tre santini sulla mensola di pietra serena.
Il disordine è un destimo
che non risponde alle domande.
“Successione ereditaria” da Cassarmonica
*
I primi tempi
gli animali che abitano nel mio giardino
erano spaventati dalla mia presenza
anch’io avevo paura di loro
oggi siamo la stessa identica attesa
il cielo lo sa
e ci tratta allo stesso modo.
da “Erfahrung 140 caratteri in poesia”
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Amare
è seguire qualcuno
nella suprema legge dell’amore
seguirlo
anche per una sola parola detta
per l’osservanza di una parola data
amare
è dare la vita
per l’opera di un altro.
da “Vita, giustizia degli occhi miei”
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Ti seguo fino al Sacro Cuore
portandoti in grembo
in un marsupio di addii
ti allontani
ti perdo di vista
ti raggiungo
ti allontani di nuovo
ti perdo di vista
riprendo il treno per Montparnasse
non posso credere
che un pò del mio sangue
corra come un fiume in piena
dentro la tua anima gentile
che tu sia così bella
così forte
così lontana.