Maria Corda: i fili, la trama, la storia.
di tramedipensieri
“Maria Giovanna Corda ha cinquantacinque anni e tre figli.
Per vivere fa le pulizie in casa di due compaesane. Lo dice con l’orgoglio di chi non ha paura di rimboccarsi le maniche per vivere, ma anche con l’amarezza di chi ha tra le mani un sapere che ha difficoltà a essere riconosciuto.”
Nel piccolo laboratorio-museo di Maria Corda, ancora oggi dopo 2oo anni di storia… si alleva il Baco da seta di razza ”Orgosolo”, da cui si ottiene la seta per confezionare poi a telaio
su lionzu, copricapo del costume tradizionale femminile di Orgosolo.
Su “lionzu”è l’unico capo di un costume tradizionale sardo prodotto interamente in loco, infatti nel laboratorio di Maria Corda si parte dall’allevamento del baco fino alla tessitura del capo.
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“Sino agli anni Sessanta/Settanta questo procedimento era noto a tutte le orgosolesi. Ognuna aveva in giardino un albero di gelso e sapeva come produrre la seta. Non era necessario essere una bachicultrice “di professione”. Nel momento della necessità – quando una donna aveva bisogno di un nuovo fazzoletto per coprirsi il capo – poteva rivolgersi a chi allevava i bachi ogni anno e avere i semi necessari.
A giugno, infatti, ad alcuni bozzoli era permesso “sfarfallare”: le farfalle nascevano, si accoppiavano e davano vita ai nuovi semi che andavano in letargo dalla fine di giugno sino, appunto, ai primi giorni di maggio.”
L’articolo completo sul blog
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“Se Chiara Vigo tesse la seta del mare, Maria Corda quella di montagna.
Nel suo laboratorio-museo-negozio di Orgosolo – il paese dipinto dai murales al centro dell’isola – nel forziere di ‘’Su Lionzu’’, il copricapo tradizionale che rende unico e originale il costume femminile del paese barbaricino.
Come Chiara anche Maria trae un’utilità economica quasi insignificante dalla vendita del prodotto, ma dona alla comunità un fondamentale contributo alla tutela della biodiversità locale. La tessitrice, infatti, non si occupa solo di confezionare il velo ma di tutta la filiera, ad iniziare dall’allevamento dei bachi.
Una tradizione importata ad Orgosolo nel 1600 grazie ai gesuiti ma con l’invasione dei prodotti industriali ormai quasi abbondata.
Maria resiste, anche se negli ultimi due anni di copricapo “non ne ha venduto uno”.
Potete trovare l’articolo completo qui: Greenews.info
In questo video\documentario si racconta il ciclo della produzione della seta e la sua tessitura, utilizzata per la confezione de “su lionzu” (benda-copricapo femminile), l’elemento dell’abbigliamento tradizionale del paese di Orgosolo.
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Qui un interessante iniziativa del circolo “Montanaru” di Udine” a cura delle donne sarde emigrate:
“Il prof. Scialino, sebbene esperto di letteratura friulana, non ha fatto mancare i riferimenti all’allevamento dei bachi da seta nella letteratura sarda: ha citato la storia e l’esperienza dell’imprenditrice settecentesca di Muravera Francesca Sanna Sulis ed ha declamato in sardo anche il poema sulla seta scritto dall’abate Antonio Porqueddu alla fine del Settecento. Nei suoi versi l’abate sottolinea il ruolo delle donne nella cura del baco, che deve essere allevato in seno affinché sia mantenuto alla giusta temperatura, e che deve essere mantenuto pulito più degli specchi perché apporta benessere alla casa e alla famiglia. “
Aggiungo un altro articolo su Maria Corda e la sua arte dal blog “Barbaricina”
“https://www.barbaricina.it/tramas-de-seda-il-baco-da-seta-di-orgosolo/
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bella testimonianza…non conosco nulla della cultura sarda una buona occasione per scrutare …ciao roberto da bluesdiperiferia.wordpress.com
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Ciao Roberto 🙂
grazie
Ogni cultura è bella per la sua diversità, noi sardi siamo famosi e un pò troppo pesanti per come ci sentiamo legati alla nostra terra e ne parliamo in continuazione; pare sia inevitabile 😀
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non è inevitabile è necessario…se hai storie e cose interessanti le faccio rimbalzare anche sul mio blog ciao e buona giornata
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Grazie 🙂
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a toi
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Sono la Presidente del Club Lioness di Cagliari,abbiamo già contattato la sig.ra Corda ma, avendo dovuto spostare e comunque organizzare l’evento dal titolo ” seguendo un filo” , abbiamo provato più volte a contattarla sia telefonicamente che via mail ma non riusciamo più a metterci in contatto. Potrei avere la cortesia di un intermediario per avere un contatto .grazie cordiali saluti Patrizia Mancusi
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Volentieri ma io non la conosco, non ho mai interagito con lei. Ho scritto solo questo post…
Magari telefondando al prete, al comune o a qualcuno del paese potrebbe riuscire. Lascia il suo numero e si fa richiamare…
mi spiace
buone cose e mi faccia sapere
grazie
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Ciao Marta, adoro la musica sarda, e con questo post mi hai portato ancora più vicina a questa bellissima cultura… ti ringrazio di cu♥re
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Grazie a te, buona giornata 🙂
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buon weekend cara Marta 😉
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Buongiorno e buon inizio settimana 🙂
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anche a te carissima…
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Un articolo interessantissimo. Ecco che tu mi presenti luoghi e soprattutto persone e tradizioni che mi piacerebbe poter vedere e conoscere di persona..(non solo per fare foto).Grazie infinite. ❤
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In effetti il lavoro artigianale, come rappresentato e realizzato qui, è davvero particolare per tutta la gestualità e l’utilizzazione di oggetti che creano un fascino incredibile.
grazie a te del passaggio 🙂
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Fai bene a raccontarci questi pezzi di storia sarda… Grazie di cuore.
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Grazie a te per apprezzarla 🙂
buona giornata
.marta
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In Sardegna ci sono stato ai tempi del servizio di leva. A Perdasdefogu, a sparare con i cannoni (non mi permettevano di mettere i fiori, al posto della polvere). In un’occasione, l’altra squadra, sfiorò un campanile: i superiori imbiancarono di viso e di capelli.
Queste donne sono un esempio di flessibilità, passione e tradizione. Sono il vero spirito della terra e del nostro tempo bistrattato.
Un augurio a loro e a te per una meravigliosa festa della donna.
^_____^
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Sei stato nella zona più “caliente” dell’isola. Un luogo che vorrei riportare all’origine…mah..
grazie del passaggio e dell’augurio
un sorriso 🙂
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Eh sì. Ricordo molto bene il clima “caliente”!
😉
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🙂
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Troppo bella la tua terra, anche per questi esempi di tenacia industriosa volta al recupero di memorie! Bel post Marta
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Ciao Lucia, grazie 🙂
Ho visto le bellissime immagini primaverili sul tuo blog: fantastiche 🙂
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Questo post è una vera chicca Marta e la tua terra ne offre tante di notizie come queste. Bellissimo… scoprire i segreti della Sardegna, grazie. Un abbraccio.
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Non ci crederai ma mi chiedevo dove fossi finita… non ti leggo da un pezzo 😦
A vedere il video viene voglia di fare …
Grazie a te Meg :))
buona giornata
.marta
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Grazie Marta! E’ un momento di…. boh… non saprei come definirlo… assopimento. Sarà la primavera in arrivo ma tornerò di sicuro. Un bacione!
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Ecco…. beh, ti aspetto!
ricambio
.marta
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Conoscere le tradizioni dei nostri paesi, mi riempie l’anima.
Continuo a sognare che tutto questo diventi davvero un lavoro!
Un saluto un po’ assonato, buona notte!
Morena
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…e tu di fili te ne intendi, eh… :)))
buongiorno! assonnato uguale
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Buon giorno! Non mi sono ancora del tutto svegliata!!! 😊
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ahahhahha pur’io… ZZzzzZZZzzZZzzzzz
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Ciao Marta, come sempre post molto interessante!
La mia nonna Rosa lavorava alla Filanda, quella dei bachi da seta era anche una tradizione della pianura padana… 🙂
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Pare si stata molto diffusa e che non in ogni dove continui a livello artigianale. In alcune zone c’è stato il salto di “qualità”. Cioè la produzione industriale.
Sarebbe stato bello poterla sviluppare si, ma non da diventare completamente industriale…va beh..
Grazie per la condivisione e del passaggio!
buona giornata 🙂
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Mi ricorda molto Chiara Vigo e la tessitura del “bisso”. Notevole Su Lionzu, un corredo che, al contrario di altre culture, nobilita la donna. Bel tema, brava .marta 😉
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Eh, sì…piccole importanti attenzioni 😊
Un lavoro, un’arte che si cerca di difendere e di portare avanti con molta fatica…
Grazie del passaggio
Ciao 😊
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Per quanto la storia mi abbia affascinato, non posso nasconderti che sta cosa di allevare e portare il baco in seno (dimmi che era solo una metafora, te ne prego) l’ho trovata piuttosto inquietante!
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ahahhahhahah no, non è una metafora solo un’usanza dei tempi che furono 🙂
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meno male… comunque il su lionzu ha un che di burqa esteticamente o sbaglio?
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questo è il costume di Tempio Pausania, precisamente l’abito che le donne indossavano in vedovanza. L’abito è diverso dal burka, molto. Intanto è un abito che mostra le forme femminili, è nero per la condizione…ma ingentilito dal fazzoletto tutto di pizzo bianco che mette in risalto il volto: nell’insieme è molto elegante.
Su Lionzu, il fazzoletto di cui si parla, si indossa sopra un costume molto colorato:
https://www.flickr.com/photos/ichnusa_land/2535224129/in/photolist-4S2FNR-4tWwzk-ehEC7J-96cVht-9DSVkw-mKNTrk-ry94h6-ehkqu7-6jTBiy-fcox6M-4q6Sko-6jZ2F3-8EE9tv-4X1iCH-efYrJj-4q5jSc-6iRWcG-6jJGyE-87znCR-ajWsNy-8Ukw88-b9sK3D-xYnNEd-sqCJXF-9Nrakw-adTmzs-9EtA64-6kX1KM-9EwtZQ-qcv1Zc-7YoZN5-4zPpLk-hXyuhW-5yb4UC-666iDU-7YgzS9-b7V4P2-duDs1Z-5Jsicm-4ArdPh-4K8oAL-4K8orL-631eeQ-83ddNg-aAhF8x-fvdaFE-6tWPHj-6k19Fh-LAJtJh-8Dred8
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Sì scusa… ho scritto burqa come un ignorante per riferirmi al velo islamico in modo veloce ma pensavo più a una similitudine con l’hijab (il velo che mostra apertamente il viso)! La versione variopinta è davvero carnevalesca 😀
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carnevalesca? ….. ….. ….. guarda che i sardi in genere sono molto permalosi …. … …
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…mica è un’offesa!
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Wowwww … che delizia rimpolpare la propria conoscenza. La storia del baco da seta non solo è interessante ma ci aiuta a capire quanto lavoro, quanta pazienza e quanta dedizione c’è dietro la pregiata stoffa di seta. Lo sa bene Maria Giovanna Corda che confeziona i tipici copricapo.
Mi spiace sapere che spesso restano invenduti perchè sono pezzi d’artigianato che meritano diffusione anche oltre il territorio di Orgosolo, è una manifattura meravigliosa quella che le sue mani realizzano.
Grazie Marta per farci conoscere tasselli di storia sarda!
Un bacione da Affy ♥
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L’utilizzazione e l’allevamento dei bachi da seta non è storia recente (3000\4000 a.c. in Cina) e nemmeno sarda. Credo risalga al 1700 (ne ho scritto, qui). Certamente in quest’Isola s’è sempre lavorato in modo artigianale, solitario direi.
Mai è stato fatto il salto di qualità, la programmazione, la pubblicità, investimenti e progetti. Come vedi nel filmato tutto restava in “casa”.
Ed è un vero peccato: conferma il fatto che il sardo per sua natura non “sa vendersi” .vendersi nel significato più lato del termine, naturalmente :))
Grazie Affy
un abbraccio
.marta
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Bello bello, perfino toccante questa memoria di una creatività e capacità manuale di cui l’artificioso oggi, con il tutto acquistabile, fa perdere perfino il ricordo.
Brava, cara Marta, sei proprio brava …
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Come scritto in altro commento qui, sull’Isola pare che non si riesca a far diventare un buon prodotto artigianale un ottimo prodotto industriale…se non per il metodo almeno per la commercializzazione. Io stessa scopro tradizioni mentre navigo in rete…eppure…
Il ricordo se non si tramanda si perde…ma non è l’oggetto in sè a non essere prodotto ma tutta quella sorta di relazioni umane e no che ne creano la bellezza.
Mah…brava no, dai…curiosa
Grazie a te\voi che leggete pazientemente e mi seguite.
grazie
.marta
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Interessante e affascinante. Un post accattivante, sul serio. E, dato che sono in Sardegna e che vi resterò un paio di mesi, penso proprio che andrò a visitare il laboratorio di Maria Corda. Bello! Un grande abbraccio, stella 🤗
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Ah…bello! Fammi sapere com’è andata! :)))
grazie del passaggio
un abbraccio grande
.marta
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Sarò pure di parte, essendo isolana, ma questa è arte! ❤️
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Eh si, bell’arte davvero 🙂
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Che bellezza! Ho ritrovato la mia adorata bisnonna nata e vissuta a Nuoro
Grazie e complimenti perché è una gioia seguirti
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In che senso?…nel video, dici?
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Era proprio di Orgosolo e si chiamava Adriana Medas sposata con il mio bisnonno triestino
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Ohhhh…il mondo è piccino :))
mi fa piacere che il mio post ti abbia fatto “rincontrare” con i bei ricordi
grazie del passaggio
a presto
.marta
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Peccato,si potrebbero usare diversamente…fare una società tutta di donne,sarebbe magnifico poterlo fare.
Ciao Marta….grazie. ..baci
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Una società di sole donne?!? 😳😬😳
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Ah…ora capisco il tuo commento! Fari riferimento alla mia risposta dove scritto che è una “storia soprattutto di donne”…
Beh riferisco al fatto che in Sardegna, quella di tanto tempo fa, gli uomini si assentavano gran parte del tempo da casa perché lontano con le pecore. Rientravano forse due o tre volte l’anno.
Quindi il resto della quotidianità lavorativa ricadeva sulla donna che, non solo doveva tenere casa e figli ma anche “inventarsi” un qualcosa da fare per poter guadagnare.
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Su Cartesensibili
un interessante link riguardante il baco da seta e del suo impiego tecnologico in sostituzione dei materiali sintetici.
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Incantata
…sino alla fine
http://www.sardegnadigitallibrary.it/index.php?xsl=626&s=17&v=9&c=4460&id=498
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Bello spulciare e renderti conto che ci sono belle storie.
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Ne vado matta nel cercarle, mi ci tuffo completamente .forse è questo che mi fa stare qui, oltre… :))
ciao Romeo
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E fai bene 😉
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Deu seu sarda. ❤
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… mi faghede meda piaghere 🙂
bona die
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😘
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Donna spettacolare Lei 😊
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Molto spettacolari le donne sarde 🙂
(a parte qualcuna :D)
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Ebbe’ dai..gli/le idiote/i nn hanno nazionalita’! 😀
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Oddio non mi puoi dare di questi input ché sennò rischio di introdurre i bachi da seta a Torre Lapillo. Storia interessantissima questa di Maria Corda. Brava. E poi hai ragione, dovrebbe diventare una risorsa. Baci. 🙂
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Si, infatti dovrebbe essere considerata risorsa e trattata come tale. Oltre al tramandare un’arte la cui utilità storica va scemando poichè ora le ragazze non vestono in costume, potrebbe essere utilizzata per nuovi tessuti con diverse utilità…
Invece, nulla :((
Lieta di averti dato degli input 🙂
beh…perchè no?
ci sono anche in Friuli, hai letto?
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Yes, ho letto tutto. La salvezza viene anche dal passato. 🙂
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Ad Orgosolo, racconta Maria Corda, le cose vanno un po’ diversamente: l’allevamento del baco è una prerogativa esclusivamente femminile, tramandata di generazione in generazione, finalizzato alla tessitura di su lionzu, il copricapo dell’abito orgolese di 30 centimetri di larghezza per un metro e mezzo di lunghezza, realizzato in questa seta grezza e rigida, costituita da un filo giallino che a volte viene colorato con lo zafferano.
Maria è l’unica depositaria di quest’arte, che porta avanti con passione in forma artigianale e con l’allestimento di un museo dedicato, e che le ha consentito di ricevere il premio Donna Sarda dei Lioness Club della Sardegna nel 2009. Maria, che ha portato con sé i suoi bachi nei bozzoli, i suoi attrezzi e le sue opere (tra cui ciondoli e anelli realizzati con lo stesso filo di seta) racconta la storia della bachicoltura ad Orgosolo.
I primi bachi furono portati in paese dai gesuiti nel Settecento, ed è da questo momento che si data la tradizione dell’allevamento di una specie autoctona, il baco orgolese, appunto, così come della coltivazione di un particolare tipo di gelso selvatico, la muriessa, che non produce le more. L’allevamento dei bachi e la lavorazione della seta sono gli stessi dell’inizio, così come uguali sono le tradizione ad essi legate.
Ancora oggi, ad esempio, Maria nel giorno di San Marco porta i suoi semi-baco in processione: ma mentre sua nonna li portava tenendoli nel seno, lei li porta con sé in borsetta.
da “tottus in pari” blog
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La magia delle tradizioni che arrivano da lontano e l’orgoglio di poterle tramandare.
Grazie .marta confesso che non ne sapevo nulla ma sicuramente lo saprà mia cognata il cui papà era sardo di Cagliari da generazioni.
Sheraconunabbraccio
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E’ una storia soprattutto di donne, di fatica che con il tempo diventa tradizione. In verità potrebbe essere una grande risorsa in un’Isola che manca di lavoro…
grazie del passaggio
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